Come deve essere pianificato un piano di sostenibilità solido e duraturo, al di là delle iniziative che possono anche essere estemporanee? E non sono da menzionare le operazioni in greenwashing che hanno un effetto boomerang sulla reputazione del brand)?
Sulle orme dell’agroalimentare
L’industria del pet food è in trasformazione e le aziende più innovative stanno seguendo l’esempio dell’industria del food. Energia prodotta da fonti rinnovabili, realizzazione di impianti di co-generazione, risparmio energetico con il passaggio all’illuminazione led, imballaggio riutilizzabile o riciclabile, monomateriale (in pet o lattina), vernice ad acqua per le etichette in carta, sacchetti per le lettiere di materiale cartaceo certificato Fsc, controllo della filiera e collaborazione con altre filiere in ottica di economia circolare, aumento delle certificazioni ambientali, valorizzazione degli scarti e riduzione delle emissioni della CO2.
Guida per i leader
Tim Wall sul sito petfoodindustry.com, lo ha sintetizzato in cinque punti, sulla base del rapporto di Euromonitor International Costruire una strategia sostenibile: una guida per i leader aziendali. La sostenibilità, alla base del Green Deal, è uno dei trend più solidi. Non fosse altro per il denaro globale che è stato investito: un numero a puro esempio: 25mila mld di euro di finanza sostenibile immessa sul mercato.
La reputazione
Nello stesso report il 73% dei professionisti aziendali ha dichiarato, pertanto, che le aziende investono nella sostenibilità per migliorare o mantenere la reputazione di un marchio. E il 58% dei consumatori ha risposto in un altro sondaggio che crede di poter fare la differenza nel mondo con i propri acquisti green. Perché dovrebbe essere diverso il comportamento per l’industria del pet?
Malintesi e priorità
Il punto primo è il “malinteso comune che i costi superino i benefici” come hanno scritto gli analisti di Euromonitor. Lo shock energetico ha aperto gli occhi e le aziende si stanno rendendo conto che l’efficienza, la riduzione degli sprechi possono invece essere redditizie. E per l’industria del pet food, che non ha sempre ritenuto strategica la sostenibilità, le cose stanno cambiando.
Punto secondo: occorre stilare delle priorità. La sostenibilità è un campo molto vasto (basti pensare alle centinaia di certificazioni). Per non disperdersi in azioni poco in linea con la mission aziendale, occorre concentrarsi sulle questioni urgenti che hanno il massimo impatto.
Obiettivi e gioco di squadra
Terzo passaggio: è sbagliato pensare che si possa fare tutto da soli. La collaborazione, sia all’interno della propria azienda sia all’esterno (fornitori e altri partner commerciali), porta benefici lungo la catena del valore. Pensiamo al controllo degli ingredienti utilizzati nel pet food (sono da agricoltura rigenerativa? made in Italy? La soia è no Ogm?), i progetti che si possono instaurare nella logica dell’economia circolare, le partnership con altre filiere (finanche con gli allevatori di insetti, che si nutrono di scarti dell’agricoltura).
Quarto passaggio: una volta stabiliti gli obiettivi, il passo successivo è misurarli (ci sono diverse società cui affidarsi che offrono tool ad hoc), perché se non ci sono numeri non c’è neanche la possibilità di comunicare in maniera seria i risultati ottenuti. Un report di sostenibilità è pertanto importante e dimostra la serietà e la trasparenza del brand.
La comunicazione
Da ultimo la comunicazione, fondamentale: l’imballaggio “parlante (e il free from è tra i temi più sentiti dai pet owner), siti web, social media e la pubblicità sono mezzi per informare i proprietari di animali domestici sulla sostenibilità di un marchio. Le certificazioni di terze parti, come il commercio equo o le certificazioni biologiche, danno ulteriore credibilità.
Verrebbe da aggiungere un sesto punto. Quello di non tralasciare, in un’ottica di piano industriale, gli sviluppi del plant-based (che nasce dalla foodtech revolution) e del novel food, che rispondono a driver fortissimi: salute, ambiente e welfare animale.